domenica 27 febbraio 2011

Ancora sul termine Adelphos

Compagno di fede:

In quel tempo diedi quest ordine ai vostri giudici: Ascoltate le cause dei vostri fratelli e giudicate

con giustizia le questioni che uno può avere con il fratello o con lo straniero che sta presso di lui

(Dt 1, 16).

In tutti questi casi, la traduzione in greco detta dei Settanta , realizzata tra il III ed il I sec. a.C., comprendente il testo masoretico ed altri scritti, chiamati deuterocanonici, adopera il termine

adelphos.

Anche gli scritti del Nuovo Testamento furono redatti in un greco ellenistico ricco di semitismi e in essi la parola adelphos è caratterizzata dalla stessa ampiezza di significati che caratterizza il termine ebraico/aramaico che sta per fratello nel testo masoretico.

Vediamo alcuni esempi della polisemia della parola adelphos nel Nuovo Testamento:

Fratello in senso stretto (figlio degli stessi genitori):

Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedeo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò (Mt 4, 20)

Tra costoro Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo (Mt 27, 56)

(Giacomo maggiore e Giovanni, apostoli, erano figli di Zebedeo e di Salome).

Fratellastro (un solo genitore in comune):

Nell anno decimoquinto dell impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea e Filippo, suo fratello, tetrarca dell Itumea e della traconitide ( ) (Lc 3, 1)

Erode Antipa e Filippo erano entrambi figli di Erode il Grande, ma avevano madri diverse: Maltace e Cleopatra di Gerusalemme.

Parente o cugino:

Il caso specifico si riferisce proprio ai presunti fratelli di Gesù, come verrà dimostrato in seguito.

Per ora soprassediamo.

Discepolo di Gesù:

Ma voi non fatevi chiamare rabbì , perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli (Mt23, 8)

Compagno di fede, credente:

La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen. (Gal 6, 18)

Se ne può concludere che l uso della parola adelphos nei Vangeli, nonostante il significato etimologico del termine, non indichi necessariamente il fratello carnale, figlio degli stessi genitori, ma venga utilizzato in accezione più ampia, fino a definire vari gradi di parentela o di comunanza spirituale.

Il termine anepsiòs, che nel greco classico significa effettivamente cugino, nei testi ellenistici di origine semitica viene utilizzato per indicare una parentela piuttosto remota, di grado non ben definibile, comportante spesso anche una distanza geografica:

Partirono insieme di buon mattino per andare alle nozze. Giunti da Raguele, trovarono Tobia adagiato a tavola. Egli saltò in piedi a salutarlo e Gabael pianse e lo benedisse: Figlio ottimo di un uomom ottimo, giusto e largo di elemosine, conceda il Signore la benedizione del cielo a te, a tua moglie, al padre e alla madre di tua moglie. Benedetto Dio, poiché ho visto mio cugino Tobi, vedendo te che tanto gli somigli! (Tb 9, 6)

Gabael e Tobi erano parenti alla lontana ed abitavano molto distanti: il primo a Ninive (Mesopotamia), il secondo a Ecbatana (Media). Il grado di parentela non è chiaro, poiché, in Tb 7,

2, Gabael chiama Tobi mio fratello .

Nel Nuovo Testamento, il termine è utilizzato solo in Col 4, 10 per indicare la lontana parentela tra Marco e Barnaba. Essi sono distanti anche geograficamente, dato che il primo abita a Gerusalemme ed il secondo è originario di Cipro.

Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Barnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni se verrà da voi, fategli buona accoglienza e Gesù, chiamato Giusto.

(Col 4, 10)

Nel caso dei fratelli di Gesù , essi vivevano in stretto contatto con lui ed erano parenti assai prossimi: se fossero stati cugini di primo grado, il greco ellenistico dei Vangeli non avrebbe adoperato il termine anepsioi.

Infatti, nell unico caso in cui la parentela è chiara ed indica un legame di cuginanza di primo grado, il greco usa proprio il termine adelphos:

Figli di Macli: Eleazaro e Kis. Eleazaro morì senza figli, avendo soltanto figlie; le sposarono i figli di Kis, loro fratelli. (1Cr 23, 21-22)

Esaminiamo il punto successivo.

Il testo che viene citato dagli storico-critici contro la verginità di Maria è il seguente: Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; ma non si accostò a lei, fino alla nascita del figlio; e gli pose nome Gesù. (Mt 1, 24-25)

(Testo tratto dalla Nuovissima versione della Bibbia, 1991)

Qualche manoscritto della versione siriaca aggiunge (o sostituisce) a non si accostò a lei la frasee visse santamente con lei .

Significato di Adelphos

I fratelli di Gesù chiamati “Adelphos” erano suoi fratelli carnali?

Nei testi di ambiente greco classico, la parola adelphos indica effettivamente il fratello carnale,

figlio degli stessi genitori. Il concetto di fratello couterino insito nell etimologia del termine viene

tuttavia ampliato ed esteso ai figli di uno stesso genitore, compreso il padre. Adelphos può quindi

indicare il fratello in senso stretto, oppure il fratellastro.

Non mancano delle eccezioni a questa regola.

L’imperatore Marco Antonino, per esempio, chiama adelphos il padre di suo genero, Severo.

Esiste poi un iscrizione greca risalente al III secolo a.C. in cui una donna, maritata a suo cugino,

viene chiamata sua sorella e moglie .

A volte, poi, il termine adelphos viene utilizzato con intento elogiativo, indipendentemente dai

rapporti di parentela: per es. Caligola chiama Tiberio, figlio di Druso e di sua zia Livilla, per

discendenza cugino, per affetto fratello .

Nei testi ellenistici di provenienza orientale il termine adelphos assume una gamma di significati

ancora più ampia: secondo l esperta papirologia Orsolina Montevecchi (1957), nei papiri esso può

significare fratello (o sorella) in senso stretto, ma anche cugino, cognato, parente, marito (o moglie).

Tale ampiezza di significati è ben documentata nei testi greci provenienti da ambienti semitici.

Nelle lingue ebraica ed aramaica, che sono lessicamente molto più povere del greco, manca un

termine specifico per esprimere il concetto di cugino o cugina, per cui molto spesso si ricorre alla

parola fratello (in ebraico ah; in aramaico aha ) o sorella (in ebraico hôt; in aramaico ahot ).

Solo per i parenti del fratello del padre l ebraico dispone di termini più brevi. Il fratello del padre

viene indicato con la parola dôd. Suo figlio, ovvero il nipote per parte di padre, può essere chiamato

ben-dôd e sua figlia bat-dôd.

Per indicare il figlio o la figlia della sorella del padre bisogna ricorrere a complicate

circonlocuzioni, che diventano ancora più complesse dovendo parlare dei parenti del fratello o della

sorella della madre, mancando termini adeguati per esprimere questo rapporto di parentela.

Per evitare lunghi giri di parole, nel testo masoretico, ovvero nell Antico Testamento ebraico, è

attestato un uso molto ampio della parola fratello/sorella.

I termini ah ed aha (fratello), ovvero hôt e ahot (sorella), vengono adoperati per indicare i

rapporti di parentela più vari:

Fratello, ovvero figlio degli stessi genitori (es. Caino e Abele):

Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: Ho acquistato un uomo

dal Signore . Poi partorì ancora suo fratello Abele. (Gen 4, 1-2)

Fratellastro, ovvero figlio dello stesso padre ma di madre diversa (es. i figli di Giacobbe,

avuti da quattro mogli diverse):

Giuseppe all età di diciassette anni pascolava il gregge con i fratelli. Egli era giovane e stava con i

figli di Bila e i figli di Zilpa, mogli di suo padre. (Gen 37, 2)

Si noti che Giuseppe, essendo figlio di Rachele, aveva come fratello effettivo solo Beniamino.

Fratelli di Gesù

Parente, cugino, o comunque membro del clan familiare:

Abram disse a Lot: Non vi sia discordia tra me e te, tra i miei mandriani e i tuoi, perché noi siamo fratelli (… ). (Gen 13, 8)

(Abramo chiama fratello il nipote Lot, figlio di suo fratello).

Figli di Macli: Eleazaro e Kis. Eleazaro morì senza figli, avendo soltanto figlie; le sposarono i figli di Kis, loro fratelli. (1Cr 23, 21-22)

(i figli di Kis, fratello di Eleazaro, sono i cugini in primo grado delle figlie di Eleazaro)

Membri della stessa tribù del popolo di Israele:

Il Signore parlò a Mosé: Questo riguarda i leviti: da venticinque anni in su il levita entrerà a formare la squadra per il servizio nella tenda del convegno. Dall età di cinquant anni si ritirerà dalla squadra del servizio e non servirà più. Aiuterà i suoi fratelli nella tenda del convegno sorvegliando ciò che è affidato alla loro custodia; ma non farà più servizio. Così farai per i leviti, per quel che riguarda i loro uffici. (Nm 8, 23-26)

Amico o alleato:

Perché son caduti gli eroi in mezzo alla battaglia? Gionata, per la tua morte sento dolore,l angoscia mi stringe per te, fratello mio Gionata! (2Sam 1, 25-26)

(Davide si rivolge qui a Gionata, figlio di Saul, con il quale non ha legami di parentela). Collega, ovvero persona che svolge un medesimo incarico o è investito di una medesima

autorità:

Si legarono sacchi ai fianchi e corde sulla testa, quindi si presentarono al re d Israele e dissero: Il tuo servo Ben-Hadad dice: Su, lasciami in vita! . Quegli domandò: E ancora vivo? Egli è mio fratello! . (1Re 20, 32)

(Acab, re d Israele, parla di Ben-Hadad, re di Aram)

Prossimo, ovvero persona verso la quale si hanno degli obblighi morali:

Ognuno si guardi dal suo amico,non fidatevi neppure del fratello, poiché ogni fratello inganna il fratello,e ogni amico va sprgendo calunnie (Ger 9, 3).

I Fratelli di Gesù era solo suoi cugini.

Onesiforo

 

Quando definisco ignoranti i protestanti, ovviamente gli concedo il beneficio del dubbio, cioè credo nella loro buona fede, altrimenti li bollerei eretici in malafede.

In quella comunità sentivo ripetere alcune frasi riprese malamente dalla Bibbia tipo: “Nessuno sulla terra è buono”, “Non chiamate nessuno maestro”, “Non chiamate nessuno padre”, “I Libri deuterocanonici nelle Bibbie cattoliche sono apocrifi”, perché non vengono citati dal Nuovo Testamento, “La Chiesa cattolica insegna ad adorare la Madonna e i santi”, “Per la Chiesa cattolica il papa è il successore di Cristo” ecc..

Studiando bene la Bibbia mi accorgevo che in tanti altri versetti biblici esistevano i buoni o giusti, i maestri, i padri spirituali, era evidente che serviva una corretta interpretazione. Se gli facevo notare questi loro errori, per non ammettere la realtà, era come se sentissero i soliti rumori, non le mie parole, e se insistevo…volevo fare polemica.

Non potevano negare l’evidenza, non sapevano farlo, eppure se ne riparlavamo dopo un mese, continuavano a ripetermi le stesse frasi, gli stessi versetti, come se la conversazione di prima non fosse mai avvenuta, come se avessero dimenticato che prima non avevano saputo rispondermi.

Forse in cuor loro sentivano di avermi risposto, balbettando qualche frase inappropriata e soprattutto saltando da un argomento all’altro, per sfuggire alla pressione della verità, e finendo

-come da loro abitudine- per difendersi accusando la Chiesa cattolica dei numerosi errori umani commessi lungo i secoli. Infatti, se si trovano in difficoltà cambiano campo, lasciano quello biblico e toccano quello storico, che nemmeno conoscono bene, ma spesso solo per sentito dire. Infatti ignorano completamente che anche alcuni protestanti parteciparono a qualche crociata in Austria, per difendere l’Europa dall’avanzata islamica; ignorano pure le inquisizioni organizzate da Calvino in Svizzera, e quelle inglesi ad opera degli anglicani, ignorano i misfatti dei luterani in Germania, ignorano l’olocausto degli indiani d’America massacrati e spodestati delle loro terre dai protestanti inglesi, ecc., ma stranamente non ignorano tutti gli errori umani commessi dalla Chiesa di Roma lungo la storia.

Non si prega per i morti, e non si chiede ai santi morti nella carne di pregare per noi, è peccato, ripetono continuamente.

Leggendo bene la seconda lettera a Timoteo però ci si accorge che anche Paolo rivolge a Dio una supplica per un santo morto nella carne:

Paolo in 2 Tm 1,18 parlando del defunto Onesiforo, prega il Signore “perché doni la grazia di

trovare misericordia presso Dio in quel giorno

2 Tm 4,6 “Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno” qui vediamo che con l’espressione “in quel giorno” Paolo si riferisce al giudizio finale, quando verrà aperto il libro della vita, e ognuno raccoglierà quello che in passato ha seminato.

E ancora in 2 Tm 4,19 troviamo dei saluti per la famiglia di Onesiforo.

Prego i fratelli non cattolici di verificare cosa dicono in merito alcuni esegeti protestanti come Knabenbauer, Spicq, Plummer, ecc., si accorgeranno che in realtà anche questi teologi protestanti ammettono che Paolo prega per Onesìforo morto nella carne, e questo si nota anche dal fatto che Paolo rivolge i suoi saluti alla famiglia di Onesiforo, quando sarebbe stato più logico e corretto rivolgere i saluti prima ad Onesiforo e poi alla sua famiglia, se, Onesiforo fosse stato ancora in vita. Tutte queste, e tante altre, inesattezze, mi hanno aperto gli occhi.

Lacune dei Pentecostali

 

Ci vuole il terreno adatto affinché certe verità attecchiscano bene, ma spesso assieme alle verità di fede, attecchiscono anche mezze verità e alcune falsità. E’ un po’ come la zizzania che attecchisce in mezzo al buon frumento, e diventa difficile da estirpare.

Molti fratelli pentecostali non sono realmente interessati alla verità tutta, perché presuntuosamente credono di conoscerla, pendono dalla labbra del loro pastore, se glielo faccio notare si offendono, ma è così, solo al loro pastore prestano vero ascolto. Noi cattolici romani siamo più propensi all’ascolto del nostro interlocutore protestante, che vuole parlarci di Dio e di argomenti importanti come quelli della salvezza e della resurrezione cristiana. Il protestante o pentecostale è troppo supponente verso un cattolico che vuole spiegargli la Bibbia, spesso lo ascolta solo come gesto di cortesia, ma è come se stesse sentendo dei suoni, dei rumori, non delle parole che significano qualcosa; o il cattolico annuisce ad ogni loro osservazione, oppure gli viene detto che vuole fare polemica. Diventano praticamente impermeabili verso qualsiasi insegnamento che non provenga dal loro pastore. Insomma, amano insegnare ad altri, loro invece accettano insegnamenti solo dal rispettivo pastore, guai a elencargli i punti dove sbagliano, a partire dai 7 libri deuterocanonici, che non hanno nella loro Bibbia, e nemmeno ne conoscono il motivo. O meglio, a parole dicono di conoscere i motivi per cui la loro Bibbia non contiene i 7 libri, che chiamano apocrifi, ma spesso lo ripetono per sentito dire, non conoscendo nel merito le vicende che hanno portato al canone biblico, e le motivazioni degli ebrei che hanno dichiarato eretici i 7 libri in questione del Vecchio Testamento e, tutto il Nuovo Testamento, eppure osano disinvoltamente puntare il dito contro la Bibbia cattolica. E’ bene ricordare loro che dicono di accettare il canone ebreo, che gli ebrei hanno dichiarato eretico tutto il Nuovo Testamento, quindi per coerenza con quello che vanno dicendo in giro, dovrebbero togliere dalle loro Bibbie anche il Nuovo Testamento.

Alla domanda secca “Perché non avete i 7 libri deuterocanonici nella vostra Bibbia?” Rispondono, “Siete voi cattolici che li avete aggiunti, noi rispettiamo il canone stabilito dagli ebrei, ai quali è stata affidata la Parola di Dio”

Gli sfugge che fidandosi degli ebrei, dovrebbero escludere pure tutto il Nuovo Testamento, visto che l’anno dichiarato eretico, nel loro concilio di Jamnia svoltosi intorno al 90 d.C..

Questo atteggiamento dei fratelli pentecostali mi lasciava perplesso, anche alla luce delle tante diversità dottrinali che esistono tra le stesse comunità protestanti. Mi chiedevo, il pastore di questa comunità pentecostale è sicurissimo di ciò che insegna e, ad esempio, crede nella SS. Trinità, guardandolo e ascoltando i suoi insegnamenti sembra davvero convinto di ciò che predica; il pastore dei pentecostali modalisti, cioè “I Gesù Solo”, parla in lingue, e garantisce di essere guidato da Dio nella sua evangelizzazione, eppure non crede nella Trinità; gli Avventisti del Settimo Giorno garantiscono pure con fermezza la loro guida divina, eppure non credono alla uguaglianza di Gesù con il Padre, per loro l’inferno non esiste, l’anima muore, ecc.; i testimoni di Geova, si vedono enormemente impegnati, e armati di buona volontà, girano instancabilmente bussando di porta in porta, nel tentativo di predicare la Parola di Dio, e a sentirli, anche loro si definiscono cristiani, solo che poi per loro Gesù non è Dio, non credono alla SS. Trinità, e a tante altre verità cristiane, ecc.; i Luterani credono nella perpetua verginità di Maria, battezzano i bambini, e parlano di consustanziazione dell’Eucaristia; e si potrebbe ancora continuare ad elencare differenze dottrinali pesanti, tra i vari gruppi protestanti. Se la verità è UNA sola, evidentemente qualcuno di loro si sbaglia!

Possibile che non si pongano questa semplice domanda?

sabato 19 febbraio 2011

I Fratelli di Gesù


Gli ebrei con la parola “ah” (=fratello) esprimevano la parentela in genere o addirittura semplicemente compaesano o compatriota; essi quando volevano indicare un fratello germano (=uterino, di sangue) ricorrevano ad espressioni più lunghe, come “figlio di suo fratello”, “figlio di sua madre” ecc.. Gesù è sempre indicato come figlio di Maria. GLI ALTRI MAI.
Le parole greche che significano “fratello e “sorella”, non sempre in senso stretto ed anche in senso traslato, traducono termini ebraico-aramaici che oltre a designare i figli di stessi genitori, designano anche parenti prossimi, specialmente per consanguineità, senza specificare il grado di parentela.
Per i vari gradi di parentela, poi, le due lingue non possiedono neppure tutti i vari termini che hanno le nostre lingue odierne.

Dimostreremo -come accennato in apertura-  che i fratelli di Gesù menzionati nella Bibbia in realtà sono suoi parenti.
Chi avrebbe il dovere di confrontare e verificare, per “mestiere” sono i teologi, ma “ciò che chiaramente determina l’atteggiamento degli studiosi protestanti (e di qualche cattolico deviato) è la convinzione che la tesi cattolica (“cugini” o, comunque , membri del clan familiare) non sia il frutto di una ricerca rigorosa sui documenti storici, bensì conseguenza obbligata della dottrina della perpetua verginità di Maria che ogni cattolico è tenuto a credere. Ha scritto il riformato razionalista Maurice Gougel: <<Non esiste un problema dei fratelli del Signore per la storia ma soltanto per la dogmatica cattolica>>. 

O il luterano Joseph Bornkamm: <<Soltanto convenienze dottrinali cattoliche (od ortodosse), non i documenti di cui disponiamo, hanno fatto di questi fratelli dei fratellastri o dei cugini, per difendere la perpetua verginità di Maria>>. Questa è pure la tesi di qualche teologo cattolico progressista. Il professor Joseph Blinzer grande esegeta tedesco ci dice che: <<Possiamo dimostrare che ci troviamo di fronte a un preconcetto e che l’interpretazione cattolica dell’espressione “fratelli del Signore” non è aprioristica, non è difesa astratta di un dogma, bensì prende seriamente in considerazione la testimonianza della storia, vale a dire del Nuovo Testamento e della Tradizione più antica>>.

Una sfida che, però è rimasta ancora una volta inascoltata: come notava, con amarezza, lo stesso Blinzer, <<se c’è una differenza nel modo con cui l’esegesi protestante e quella cattolica presentano le loro posizioni, essa consiste nel fatto che da parte cattolica si ha cura di tenere conto degli argomenti della controparte, per replicare; mentre gli autori protestanti di regola ritengono superfluo perdere ancora tempo e procedere al confronto>>.

Una sorta di complesso un po’ sprezzante di superiorità -complesso non limitato peraltro a questo tema- con cui specialisti che dicono di rifarsi alla Riforma (i cui fondatori, lo ripetiamo, in realtà danno loro torto: ma si ha cura di non farlo sapere) guardano a quegli attardati, miracolisti, magari superstiziosi cattolici, per i quali sarebbero importanti banali questioni trivialmente ginecologiche come la verginità perpetua della madre di Gesù.” (Cfr. V. Messori, Ipotesi su Maria.)
In effetti fino all’anno 380 non ci fu problema alcuno sull’interpretazione della parola “fratello” nel contesto biblico.

“L’equivoco fu volutamente provocato da Elvidio, un oscuro laico che si inseriva nel dibattito allora rovente sulla superiorità del celibato religioso rispetto al matrimonio. L’esplosione del fenomeno del monachesimo (quasi come un sostituto al martirio), dopo i provvedimenti liberali di Costantino, portava una tale sopravvalutazione della verginità e a una così forte diffidenza verso i rapporti coniugali da provocare una reazione vivace. Il pamphlet di Elvidio si inseriva in questa polemica ed era <<basato non sull’antica Tradizione ma su un’esegesi del Nuovo Testamento certamente errata, da dilettante>>. Così Blinzer. Ciò che l’oscuro polemista voleva era replicare ai fautori della superiorità del monachesimo, cercando di dimostrare che anche Giuseppe e Maria avevano fondato una famiglia che, oltre al Primogenito, aveva avuto molti altri figli. Partiva dunque non da un approfondimento dei testi della fede, bensì da una tesi prefissata per la quale trovare giustificazioni.
Il maggiore biblista del tempo era san Girolamo che, probabilmente non avrebbe replicato a un polemista così mediocre, rispetto a lui. Ma, sollecitato da persone autorevoli (era allora a Roma e non in Oriente dove, soprattutto il Palestina, visse a lungo), scrisse un trattato: De perpetua virginitate Mariae. Quell’incauto dilettante di Elvidio era fatto a pezzi dal focoso santo, che conosceva ogni riposta sfumatura della Scrittura e delle lingue, ebraico e greco, in cui è scritta, tanto da darci la traduzione in latino che è restata canonica. Per Girolamo, comunque, i “fratelli” e le “sorelle” di Gesù erano cugini e non figli di Giuseppe: e lo dimostrava con argomenti la cui sostanziale validità è riconosciuta anche oggi.
Tutti i grandi scrittori cristiani, sia allora che dopo, plaudirono all’opera, divenuta classica.
Da allora non ci furono praticamente altre discussioni su Gesù come unico figlio nato per opera dello Spirito Santo; come ricordavo, neppure da parte della Riforma. 

La tesi di Maria come madre di famiglia numerosa rinacque solo tra Sette e Ottocento, nell’ambito del protestantesimo liberale, dell’illuminismo, del razionalismo. Anche se da molto tempo è preponderante tra gli evangelici – e insidia ora i cattolici complessati-, non va dimenticato che, malgrado la sicurezza <<scientifica>> con cui è spacciata, è una teoria recente, limitata a dei professori e contrasta con la certezza di fede espressa unanimemente per tanti secoli. Ultimamente si è cominciato a fare i conti con il fatto che almeno tre dei Vangeli sarebbero la traduzione in greco di un testo aramaico; e che, dunque, dietro alle espressioni elleniche c’è un sostrato semita, non di rado tradotto in modo impreciso. Tra l’altro, queste indagini -che stanno dando risultati sorprendenti- contribuiscono a rendere sempre meno salda quella esegesi cosiddetta <<storico-critica>>.
All’orizzonte si affaccia quindi l’ipotesi, sempre più reale, che i Vangeli sono stati scritti prima dell’anno 70, in lingua aramaica.

Eucarestia Giornaliera


Qualcuno dirà che non si deve ricevere l'Eucarestia tutti i giorni. Se tu gli domandassi perché, ti potrebbe rispondere: "Perché si devono scegliere i giorni in cui si vive con maggior purezza e continenza per accostarsi degnamente a un sì augusto sacramento, poiché chi mangerà indegnamente, mangia e beve la propria condanna ". Un altro invece potrebbe dire: "Al contrario, se la piaga del peccato è così grave e tale la violenza del morbo spirituale, che si debbano differire siffatte medicine, uno dev'essere allontanato dall'altare per ordine del vescovo affinché faccia penitenza; solo in seguito dev'essere riconciliato con Dio con l'assoluzione impartita dalla medesima autorità: si riceverebbe infatti indegnamente il sacramento, se si ricevesse nel tempo in cui uno deve far penitenza; nessuno dovrebbe di proprio arbitrio astenersi dalla comunione o accostarsene quando gli aggrada. A ogni modo, se i peccati non son così gravi da meritare la scomunica, nessuno deve star lontano dalla medicina quotidiana del Corpo del Signore"

Fra i due forse risolve meglio la questione chi inculca di rimanere soprattutto nella pace di Cristo; ciascuno poi faccia quel che crede dover fare secondo la propria fede e il sentimento della sua pietà. Nessuno dei due oltraggia il corpo e il sangue del Signore; tutti e due al contrario fanno a gara per onorare il sacramento ch'è fonte della nostra salvezza

Nemmeno Zaccheo e il Centurione si trovarono in contrasto fra loro né alcuno di essi si ritenne superiore all'altro, anche se l'uno pieno di gioia accolse il Signore nella sua casa e l'altro disse: Non son degno che tu entri sotto il mio tetto: tutt'e due onorarono il Salvatore in maniera diversa e per così dire contraria: ambedue erano miserabili peccatori, ambedue ottennero misericordia. Come simbolo di ciò può servire quanto accadde all'antico popolo ebraico: come la manna aveva in bocca il sapore che ciascuno voleva, così pure nel cuore di ciascun cristiano ha diversi sapori il Sacramento con cui è stato vinto il mondo

Poiché l'uno, per onorarlo, non osa riceverlo quotidianamente, l'altro invece, per onorarlo, non osa tralasciarlo alcun giorno. Questo cibo esclude solo il disprezzo, come la manna la ripugnanza.
Ecco perché l'Apostolo dice che fu ricevuto indegnamente da coloro che non lo distinguevano dagli altri cibi con la particolare devozione dovutagli: poiché dopo aver detto: Mangia e beve la propria condanna, subito soggiunge dicendo: perché non fa distinzione di tal corpo  come appare chiaro da tutto quel passo della prima Lettera ai Corinti, se si considera attentamente.
E riporto ancora dallo stesso forum:
Sempre nella medesima Lettera 54 Agostino tenta di spiegare fin anche L'USO DEI RITI DEL GIOVEDI' SANTO....evidentemente qualcuno si preoccupava di come e quando dovesse essere il digiuno se PRIMA O DOPO L'EUCARESTIA..al chè Agostino dice:

dovremmo discutere non come si debba celebrare il rito, ma come penetrare il significato del rito medesimo....Lo stesso dicasi di riti e usanze osservate da tutta la Chiesa. Poiché mettere in dubbio se si debbano o non si debbano seguire, sarebbe segno d'insolentissimo insania.

mercoledì 9 febbraio 2011

La Pseudoconoscenza Biblica


La pseudoconoscenza è ciò che “tutti sanno”, non perché sia la verità, ma perché qualcuno con una “carica importante” lo ha detto in televisione, o perché lo afferma la rivista preferita, o perché un personaggio attraente in un film lo ha stabilito come un fatto e moltissime altre persone lo hanno ripetuto milioni di volte.
La pseudoconoscenza è ciò che spiega che “tutti sanno” che Humphrey Bogart ha detto “Suonalo ancora, Sam” (tranne lui). E' ciò che spiega che “tutti sanno” che la Costituzione degli Stati Uniti parla di un “muro di separazione” tra la Chiesae lo Stato (non la Costituzione). E spiega perché “tutti sanno” che tutti gli europei del Medioevo credevano che il mondo fosse piatto (tranne loro).
La pseudoconoscenza fa sì che la gente parli come se fosse sicura di aver letto una volta di documenti federali, o di aver analizzato a fondo i dati meteorologici del riscaldamento globale, o conservato nella memoria i documenti del Concilio di Trento quando, di fatto, non può citare neanche cinque parole di nessuna di queste cose.
Ciò che sa in realtà è quello che la voce sonora e ben modulata della televisione o del proprio circolo di amici (o di entrambi) ha detto che era una “conoscenza comune” sul Governo, sulla scienza o la Chiesa cattolica.
E, ovviamente, spiega perché “tutti sanno” che “la Mariacattolica” non è che una dea pagana riscaldata. E' un mito moderno circolato per tanto tempo che nessuno pensa di metterlo in discussione. E quando lo si fa si scoprirà che non c'è niente. Niente. Neanche un briciolo di autentico sostegno storico.

martedì 8 febbraio 2011

La Madonna nella Bibbia


3. "il bambino con Maria sua madre"
- L’espressione è nuova anche rispetto a Es 4,20 (ove a precedere è la moglie di Mosè e non la madre seguita dai figli) e si ripete quasi invariata 4 volte nel racconto (2, 13-14.20.21). La novità è la messa al primo posto del bambino e poi della madre (e non la sposa) per significare la sua eminente dignità;

- "Maria" è il nome della madre scritto nella forma grecizzata che si legge anche in Mt 1,16.18 (3 volte in tutto), mentre in Mt 1,20 e 13,16.18 si ricorre alla forma aramaica che proviene dalla tradizione originale (Mariám);
- la "madre di Gesù" compare 15 volte in Matteo di cui 13 in 1-2. L’apposizione "madre sua" ricorre in 1,18 1 in 2,13 – 4, 20-21; 13,55. "Maria la madre di Gesù" deve essere stata una formula cristallizzata nella tardiva trazione cristiana (cfr. anche Lc 2,34), come risulta anche dalla più tardiva tradizione giovannea dove appare solo "la madre di Gesù" (Gv 2, 1.3.5. e 19,25);
- Maria viene identificata come la "madre sua (di Gesù)", una qualifica d’onore dato che si tratta del "neonato re dei Giudei", del Messia. Nessun equivalente per Giuseppe, che qui scompare del tutto.

4. "prostratisi…….e aperti i loro scrigni"
- I due participi descrittivi preparano due azioni compiute dai Magi: adorarono e gli presentarono i loro doni. Il verbo proskunéo ha qui il doppio significato di "rendere omaggio al re" e "adorare una divinità". Nella trama narrativa ha una particolare importanza in quanto rappresenta il progetto dei Magi (2,2,) e il controprogetto di Erode (2,8). Giunti davanti al neonato bambino figlio di Maria, il primo gesto che essi compiono è proprio l’adorazione – omaggio regale. Matteo, infatti, usa proskunéo in relazione a "re" e al "regno" come fa in 4, 8-10; 18, 23ss e 20,20ss;
- I Magi offrono al "bambino con Maria sua madre" tre doni: oro, incenso e mirra:

1. oro: questo vocabolo viene usato 9 volte da Matteo, due volte da Luca, una da Marco e nessuna da Giovanni. In molti passi dei Sinottici il termine ha una sfumatura cultuale (Mt 5,23-24; 8,4; 15,5; 23,18-19; Mc 7,11: Lc 21,1) e indica qui la qualità superiore del destinatario e, sullo sfondo, quella di sua madre;

2. Incenso: ricorre solo due volte nel N.T. (qui e in Ap 18,13);

3. Mirra: pure raro nella Bibbia (qui e in Gv 19,39): mentre Giovanni lo menziona come prodotto aromatico per imbalsamare i morti, Matteo ne valuta solo la preziosità.
Tutti e tre i doni esprimono quindi ricchezza, in quanto materie rare e preziose.

Il gesto dei Magi di portare queste ricchezze al regale "bambino con Maria sua madre", allude a molti testi di Isaia, Michea e dei Salmi che annunciano un pellegrinaggio delle genti a Gerusalemme per adorare il vero Dio e offrigli i loro doni (Is 2, 2-3: 45,14; 60, 1-6; Mic 4, 1-2; Sal 72,11). Nei doni dei Magi, dunque, la tradizione prima e l’evangelista poi hanno visto il compimento della Scrittura, anche se in modo diverso e cioè:

1. non a Gerusalemme ma a Betlemme, da cui verrà "la guida che pascerà il mio popolo Israele" (Mt 2,6; Mc 5,2 e 2Sam 5,2);

2. non nella reggia di JHWH ma in una casa dove abita "con Maria sua madre";

3. non per adorare JHWH e ricevere in dono la Torah, ma per adorare un neonato bambino,
riconosciuto come re – Messia, il cui compito sarà quello di portare ad ebrei e gentili il regno di Dio.

Qui si conclude il pellegrinaggio delle genti rappresentati simbolicamente dai Magi: ai piedi di Maria madre del bambino, nella sua abitazione. Maria è dunque il trono regale su cui siede il re – Messia adorato da tutti i popoli;

Questa grandiosa scena si chiude drammaticamente nella fuga perché il "bambino e sua madre" devono essere portati in salvo a causa dell’incombente minaccia di Erode. E’ Giuseppe che condurrà in Egitto "il bambino e sua madre" per ricondurli poi entrambi, morto Erode, nella "terra di Israele" e insediarli nell’oscura borgata di Nazaret, così oscura da far disperare l’evangelista nel trovare una profezia specifica che la riguarda (2,23);
Maria, madre del bambino, è un tutt’uno con lui, nell’omaggio regale dei Magi, nella fuga e nel ritorno. 

Giuseppe, colui che dietro incarico divino ha il compito di salvare sia il bambino che la madre, non viene qualificato né come sposo, né come padre, per quanto il lettore sappia che già egli è sposo di Maria madre vergine di Gesù (Mt 1. 18-25).


3. Conclusione
Quali conclusioni si possono trarre da tutto quello che è stato detto fin qui? Esse possono essere brevemente così riassunte:
1. L’analisi strutturale del testo ci ha fatto comprendere che Maria, madre del bambino, va qualificata come regina – madre del "neonato re dei Giudei" e ancor più "madre del Figlio di Dio, il Verbo incarnato";