martedì 9 agosto 2011

Santo del Giorno

Utile pagina cristiana con il per conoscere meglio le vite dei santi che ci hanno preceduto e che ora sono in cielo alla presenza del Signore Gesù. E’ sempre utile conoscere le vite dei santi nostri fratelli nella fede, perchè sono veramente edificanti per il nostro spirito.

domenica 5 giugno 2011

Ancora sui fratelli di Gesù

Nel caso dei , essi vivevano in stretto contatto con lui ed erano parenti assai

prossimi: se fossero stati cugini di primo grado, il greco ellenistico dei Vangeli non avrebbe

adoperato il termine anepsioi.

Infatti, nell unico caso in cui la parentela è chiara ed indica un legame di cuginanza di primo grado,

il greco biblico usa proprio il termine adelphos:

Figli di Macli: Eleazaro e Kis. Eleazaro morì senza figli, avendo soltanto figlie; le sposarono i figli

di Kis, loro fratelli. (1Cr 23, 21-22)

Esaminiamo il punto successivo.

Il testo che viene citato dagli storico-critici contro la verginità di Maria è il seguente:

Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l angelo del Signore e prese con sé la

sua sposa; ma non si accostò a lei, fino alla nascita del figlio; e gli pose nome Gesù. (Mt 1, 24-25)

(Testo tratto dalla Nuovissima versione della Bibbia, 1991)

Qualche manoscritto della versione siriaca aggiunge (o sostituisce) a non si accostò a lei la frase

e visse santamente con lei .

La traduzione interlineare di A.Bigarelli (1998) suona così:

Alzatosi allora Giuseppe da il sonno, fece come ordinò a lui l angelo del Signore e prese la

moglie di lui, e non conobbe lei finché non partorì (un) figlio; e chiamò il nome di lui Gesù (Mt 1,

24-25)

Una lettura superficiale del testo potrebbe lasciar supporre che, con le parole fino a o finché

non , l evangelista volesse intendere che Giuseppe non toccò Maria prima della nascita di Gesù,

ma che in seguito lo fece, ma questo lo approfondiremo più avanti.

Il

“Nel tentativo di giustificare il loro rifiuto verso la verginità perpetua di Maria, evangelici ed evangelicali sono costretti a forzare il significato dei termini “finché” e “fratelli” dando ad essi un solo e singolo significato. Ridicolizzano pure la Chiesa cattolica, attribuendogli non meglio precisate intenzioni di sostituire in toto la parola “fratello” con “cugino” ovunque se ne incontri una. Non è così, non si può attribuire alla Chiesa cattolica una tale sciocchezza, sarebbe più corretto precisare che anche i cugini vengono inglobati nel “fratello” scritto dagli ebrei. Non si può tradurre scelleratamente fratello=cugino, ogni volta che si incontra tale termine, bisogna sempre tener conto del contesto. Così affermano, come fanno diversi autori protestanti, che per i cattolici il termine adelfòs (letteralmente fratello) vuole, quando è applicato agli adelfòi (letteralmente fratelli) di Gesù, dire sempre e solo "cugino". Non è vero!

Per quanto riguarda il termine "finché" sono ovviamente costretti a sostenere che "finché" indica sempre la fine di un’azione e l’inizio di un’altra. Non è vero!” (cfr, del fratello Massimo del sito Difendere la vera fede)

In greco, obiettano i fratelli non cattolici, esistono due termini diversi per indicare rispettivamente fratello e cugino, adelphos=fratello, anepsiòs=cugino, questo è parzialemente vero, ma dimenticano che i Vangeli sono stati scritti in greco raccontando episodi ebraici, raccontano il modo di esprimersi e di comportarsi del popolo ebraico, che sicuramente non è uguale a quello del popolo greco, né di quello occidentale. Sul vocabolario di Greco – Rocci, usato nelle università e nei licei, il termine Adelphos, viene tradotto con “fratello”, lo stesso dizionario, come è solito di tutti i dizionari, riporta anche altri significati attribuiti alla stessa parola, tra questi il Rocci dice che Adelphos può essere usato anche per indicare un “parente, connazionale, membro della stessa tribù”. Il termine “fratello” pronunciato da un ebreo quindi poteva significare anche compatriota, compaesano, membro della stessa tribù, cugino di primo grado, parente stretto, nipote, di questi esempi ne troviamo diversi nella Bibbia, stranamente però in un libro scritto da Jean Gilles intitolato “I fratelli e sorelle di Gesù” ed. Claudiana, di esempi relativi al Vecchio Testamento ne vengono riportati solo tre. In questo modo si induce il lettore a ritenere che esistano i tre soli esempi riportati dall’autore, quando invece di esempi se ne trovano molti altri, li vedremo più avanti.
Nei testi ellenistici di provenienza orientale il termine adelphos assume una gamma di significati ancora più ampia: secondo l’ esperta papirologia Orsolina Montevecchi (1957), nei papiri esso può significare fratello (o sorella) in senso stretto, ma anche cugino, cognato, parente, marito

(o moglie). Tale ampiezza di significati è ben documentata nei testi greci provenienti da ambienti semitici.

Vangelo del Giorno

In queste pagine trovate un utile servizio per poter leggere in anticipo il che verrà letto in tutte le chiese cattoliche italiane. Utile per preparare i commenti e le riflessioni sulla parola di Dio.

venerdì 3 giugno 2011

Il Dono delle lingue

PROFEZIA, DONO DELLO SPIRITO:

DALL'ANTICO AL NUOVO TESTAMENTO.


La visione delle ossa aride in Ezechiele non e' solamente un'immagine fantasiosa. Ha una forza profetica molto piu' grande: con questa poderosa metafora di ossa che si rivestono di carne e riprendono vita grazie al soffio di Dio, il profeta ci annuncia una rinascita, una nuova creazione.
Dio ricomincia la storia da capo, rinnova tutto l'universo.
Creare vuol dire fare una cosa nuova, che ancora non esiste. Ora lo Spirito di Dio rinnova ogni giorno il prodigio della creazione:
"Ecco, io faccio una cosa nuova: e' adesso che germoglia. Non la riconoscete ?"(Is 43,19)
Il Secondo Isaia si riferisce ancora, in questo modo, a un intervento divino destinato a cambiare la storia: la liberazione degli esiliati.
Il Terzo Isaia scrive: "Ecco io creo cieli nuovi e una terra nuova" (Is 65,17). In realtà, neppure lui esce dalla storia: i cieli nuovi non sono altri cieli, la terra nuova non e' un'altra terra.
Sono gli stessi cieli, la stessa terra "rinnovati" dal soffio di Dio grazie all'universalità' del dono creazionale dello , al fatto che esso viene riversato in ogni uomo:

"Così dice Dio, il Signore,
che crea i cieli e li spiega,
che stende la terra e quanto ne esce,
che infonde l'alito al popolo che l'abita
e il soffio a quanti vi camminano sopra:
Io, il Signore, ti ho chiamato nella giustizia
e ti ho preso per mano.
Ti ho custodito e ti ho posto
come patto del popolo, luce delle genti
(Is 42,5-6).
(cf. Is 42,1; Is 59,21)
"Lo Spirito del Signore Dio e' su di me
dal momento che il Signore mi ha unto
(Is 61,1).
In questo ultimo passo l'unzione conferisce una stabilità al dono: a differenza dei profeti piu' antichi, l'infusione dello Spirito non e' temporanea, bensì legata a un progetto esistenziale, a una vocazione permanente.
Lo Spirito del Signore è assolutamente libero di fare ciò che vuole perché Dio ha una sua volontà sovranamente libera e conferisce i suoi doni a chi vuole (generalmente a chi è pronto ad accoglierli). L'uomo e' stato pensato ad immagine di Dio, in modo che possa instaurarsi una stretta, intima relazione fra di loro.
Anche l'uomo è dotato di una volontà decisionale che, entro certi limiti creaturali, è libera, ed è il suo cuore. In Ezechiele, come pure nel Terzo Isaia, "spirito" e "cuore" sono usati come perfetti sinonimi:

"Perche' cosi' dice l'Alto ed Elevato,
che dimora in eterno e il cui nome e' Santo:
In luogo alto e santo io dimoro,
ma anche col contrito e l'umile di spirito
per far rivivere lo spirito degli umili
e ridar vita al cuore dei contriti"
(Is 57,15).

Contrizione e umiltà di spirito che sono la condizione stessa per stare davanti a Dio nella nostra verità creaturale. Solamente lo può santificare lo spirito dell'uomo. Ma questo dono non e' mai fatto una volta per tutte: deve essere costantemente rinnovato.
I doni dello Spirito, secondo Isaia, sono destinati a rivelarsi anzitutto nel Messia figlio di David.
C'e' una interdipendenza fra profezia e compimento, di modo che l'uno non può stare senza l'altra. In questo senso i santi Padri hanno sempre considerato insieme Antico e Nuovo Testamento, ed e' giusto così.
Possiamo ricavare un insegnamento: nel nostro cammino verso la nostra maturità umana e spirituale, ogni passo, ogni gradino che si sale, ha un grande significato e ci avvicina al compimento. Dopo non viene del tutto eliminato perché costituisce la nostra storia, la fatica che abbiamo sperimentato nel tendere alla meta, alla pienezza della nostra condizione di creatura che cerca il Signore. I profeti, tutti i profeti, hanno reso testimonianza a Gesù' senza neppure bisogno di una confessione esplicita del suo nome.
Se davvero noi crediamo che lo "ha parlato per mezzo dei profeti", per quanto in maniera velata, allusiva, misteriosa - ma proprio per questo così efficace, così suggestiva - tutto questo costituisce oggi e sempre una testimonianza di Gesù'.” (Padre Claudio Traverso)

I pentecostali non distinguono bene il valore battesimo cristiano, infatti essi cominciano col separarlo in due fasi, “battesimo in acqua” e “battesimo nello Spirito” alterando così l’insegnamento battesimale che troviamo nella Bibbia.

Essi dicono che il battesimo in acqua è una semplice pubblica testimonianza della propria fede, il credente testimonia la propria fede davanti alla comunità per mezzo del battesimo in acqua.

Ma non è questo l’insegnamento battesimale che ci ha raccomandato Gesù, Giovanni battista battezzava in acqua, ma con l’avvento di Gesù quel battesimo fu destinato a scomparire, per lasciare il posto a colui che battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Nel linguaggio biblico fuoco significa in questo caso purificazione, fuoco purificatore, anche l’acqua è segno di purificazione.

Quindi si può usare l’analogia “dopo di me verrà Colui che battezzerà in Spirito Santo e acqua…”

Senza alterarne il significato biblico.

Quindi nel battesimo cristiano è sempre presente lo Spirito Santo, l’acqua è il segno visibile, lo Spirito Santo è l’elemento invisibile che realmente purifica dal peccato.

Non si può quindi parlare di “battesimo in acqua” e “ nello Spirito” ma semplicemente di battesimo cristiano, nel quale l’acqua è solo il simbolo di purificazione mentre lo Spirito la opera.

Se il battesimo in acqua sarebbe una semplice testimonianza della propria fede cristiana, non si capirebbe perché Pietro abbia battezzato presso la casa di Cornelio tutti coloro che ricevettero l’effusione dello Spirito.

Se già questi parlavano in lingue vuol dire evidentemente che stavano testimoniando in maniera molto vistosa la propria fede, tra l’altro in presenza di un apostolo, che bisogno avevano di testimoniare con il battesimo in acqua la propria fede?

La purificazione dal peccato, sia esso di origine o personale. Quindi il non è una formalità votata alla testimonianza, ma una necessità imprescindibile, per purificare dai peccati precedenti.

Se non si fa attenzione a valutare il contesto, confrontandolo pure con altri episodi simili, si corre il rischio di alterare l’insegnamento biblico.

Bisogna saper distinguere tra “effusione dello Spirito” e “”, perché Paolo ci parla proprio di effusione dello Spirito, e non di Battesimo.

giovedì 2 giugno 2011

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venerdì 22 aprile 2011

Pasqua Cristiana

La Pasqua ebraica e la Pasqua di Cristo

E’ giusto partire

Dopo la nona piaga, quella delle tenebre, il faraone «convocò Mosè e Aronne e disse: “Partite, servite il Signore! Solo rimanga il vostro bestiame». Mosè oppose un netto rifiuto. Bastò questo perché il faraone si ricredesse e subito disse a Mosè: «“Vattene da me!... Guardati dal ricomparire davanti a me, perché quando tu rivedrai la mia faccia morirai”. E Mosè disse: “Hai parlato bene: non vedrò più la tua faccia”».
«Il Signore disse a Mosè: “Ancora una piaga manderò contro il faraone e l’Egitto; dopo egli vi lascerà partire da qui, vi lascerà partire senza restrizione, anzi vi caccerà via di qui”». Il Signore vuole compiere, per il suo popolo, un atto di giustizia e ordina a Mosè che ogni famiglia ebrea chieda ai suoi vicini oggetti di valore, d’oro e d’argento, ed egli muove il cuore degli egiziani ad essere generosi con gli ebrei.
Mosè annuncia al faraone l’ultimo, tremendo castigo: “la morte dei primogeniti”. Il faraone gli resiste ancora. L’indignazione di Mosè definito uomo molto mansueto, era proprio giunta al colmo.
Viene poi narrata l’istituzione della Pasqua. vuol dire “passaggio”. Quello che il Signore aveva fatto per il suo popolo era cosa troppo grande per non essere ricordata solennemente fino alla fine dei secoli. Il suo significato è profondo. C’è un passaggio dalla schiavitù alla libertà, dal potere di satana al potere di Dio. La sapienza di Dio agisce in modo da educare il suo popolo alla conoscenza dei valori supremi della vita e, prima ancora, alla conoscenza di lui. Era pur necessario che almeno un popolo, su tutta la terra, fosse totalmente suo. E, come un tempo egli si era manifestato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, ora vuole manifestarsi ai loro discendenti.
Gli ebrei, vissuti per 430 anni in Egitto, avevano visto la magnificenza dei templi dedicati agli idoli e potevano anche esserne affascinati.
Vedremo fino a che punto l’idolatria aveva contaminato gli israeliti. Chi aveva ricordato loro, in quel tempo, le grandi rivelazioni di Dio ai loro padri? Ora la sua onnipotenza si era manifestata nelle azioni tremende da lui compiute contro il popolo egiziano.
L’inizio di una nuova vita libera da tutte le fatiche e le angherie, subite in Egitto, dovette lasciarli come trasognati e Mosè, per il comando di Dio, vuole che il momento della loro liberazione venga celebrato in modo singolare e solenne.
Innanzitutto, vi sarà un nuovo computo del tempo. Il mese nel quale gli ebrei lasceranno l’Egitto dovrà essere considerato il primo mese dell’anno. Nel decimo giorno del primo mese ogni famiglia doveva provvedersi di un agnello o di un capretto, maschio, di un anno, senza difetti. Al quattordicesimo giorno del mese, “fra i due vespri”, quell’agnello doveva essere ucciso. Con il suo sangue gli ebrei dovevano segnare gli stipiti e la soglia della porta delle loro case. In quella stessa notte, doveva esserne mangiata la carne arrostita al fuoco con pane azzimi e con erbe amare. E dovevano fare questo in tenuta da viaggio, in fretta. Con questo pasto si celebrava il passaggio del Signore.
In quella notte il Signore fece morire ogni primogenito degli egiziani. Il sangue sulla soglia e sugli stipiti delle case degli ebrei era il segno che essi dovevano essere preservati da quel flagello. Dal quattordicesimo al ventunesimo giorno del mese bisognava mangiare pane azzimo, non lievitato; chi non avesse obbedito doveva essere messo a morte. Che cosa significava quel lievito? Quale forza vitale negativa vi era in esso? Mosè infine dichiara che questo «“È il sacrificio della Pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli israeliti in Egitto, quando colpì l’Egitto e salvò le nostre case”. E il popolo si inginocchiò e si prostrò». Ecco, infine, l’epilogo di questo dramma: «A mezzanotte il Signore percosse ogni primogenito nel paese d’Egitto…; un grande grido scoppiò in Egitto». E il faraone chiamò di notte Mosè ed Aronne e li sollecitò a partire; così anche tutto il popolo egiziano, temendo di perire, sollecitava gli ebrei ad andarsene.
Poi il Signore ordinò a Mosè che gli fossero consacrati tutti i primogeniti, degli uomini e degli animali, e gli ricorda che per sette giorni gli ebrei devono mangiare pani azzimi. E questa prescrizione doveva tener vivo, di generazione in generazione, il ricordo di quanto il Signore aveva fatto per la salvezza del suo popolo. Così quando ogni giovane ebreo avrebbe chiesto a suo padre il perché di questa tradizione gli sarebbe stato detto: «Con braccio potente il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto, dalla condizione servile.
Poiché il faraone si ostinava a non lasciarci partire, il Signore ha ucciso ogni primogenito nel paese d’Egitto». Il Signore volle che questo evento fosse ricordato per sempre. (cfr, Il Timone 2005)

sabato 12 marzo 2011

La Chiesa e gli Eunuchi

La e gli eunuchi

     

Scritto da Rino CAMMILLERI   

Armando Torno, recensendo in prima pagina sul Corsera del 6 agosto un libro di Hubert Ortkemper  (Angeli controvoglia, Paravia), chiedeva  sommessamente al Papa un ulteriore meaculpa: il ritardo con cui la vietò l'uso di cantori castrati nella Cappella pontificia. Fu infatti Leone XIII a proibirli, a tre secoli dalla loro ammissione (concessa, va detto, a furor di popolo). Eh, sì: ormai la lista rischia di diventare lunghissima, anche perché ci sono alcuni (ma Torno non è tra questi) cui gli atti di contrizione non bastano mai. Potremmo suggerire il nepotismo dei papi, inaugurato da Innocenzo III e durato secoli. Difficile, infatti, spiegare a un contemporaneo che nel Medioevo la pietas nei confronti della famiglia era considerata un dovere primario perché la famiglia era tutto e l'individuo nulla.
E se il prossimo Papa sbottasse che è ora di finirla con 'ste richieste di meaculpa! Se - Deus avertat - addirittura facesse un dietrofront su tutta la linea? Se astutamente aprisse una stagione di convegni internazionali tramite i quali demolire uno ad uno i fondamenti storici (storici, si badi) dei meaculpa di fine millennio? In fondo, basterebbe fare come fu fatto con quel megasimposio sull'Inquisizione, pochi anni fa: condotto ai più alti livelli, demolì completamente la leyenda negra sul famigerato tribunale. Lo stesso, ancor prima, col processo di Galileo. Naturalmente, l'unica cosa rimasta sulla titolazione dei giornali fu la chiosa finale. Che però suonava pressappoco così: signori contemporanei che vivete in tempi di liberaldemocrazia, alla luce della sensibilità odierna un “tribunale della coscienza” (parafrasando il titolo di un'importante opera del maggior studioso italiano d'Inquisizione romana, Adriano Prosperi) è cosa insopportabile, lo riconosciamo; chiediamo a Dio perdono se in qualche cosa gli uomini di hanno sbagliato alcuni secoli addietro. Naturalmente - aggiungiamo noi - gli uomini di alcuni secoli addietro l'avevano, la sensibilità, molto diversa e, quelli, non sentivano ragioni né scuse. L'animo contemporaneo prova più pena per Caino; quello d'ancien regime tifava per Abele. Certo, è vero che la non deve andar dietro alle pruderies mondane, sempre cangianti, ma è altrettanto vero che qualche soddisfazione deve pur darla, non foss'altro che per non cadere sotto l'accusa di essere disincarnata.
Ora, per tornare ai “sopranisti” castrati, ovviamente condividiamo lo sdegno e la pena per quei poveracci che, illo tempore, subivano una mutilazione (diversa, ma altrettanto ripugnante) che fa in qualche modo il paio con l'accecamento dei canarini per farli gorgheggiare (barbara usanza di non pochi ciabattini fino a tutti gli anni Cinquanta del secolo appena trascorso). Ma la castrazione era fenomeno antichissimo (vi fa riferimento anche Cristo nel Vangelo) e diffuso in tutto l'orbe (in certi posti, in India per esempio, esiste ancora oggi). Non di rado erano le famiglie che sottoponevano i bambini a tale pratica per garantir loro una fonte di sostentamento; e magari, perché no, il successo e la ricchezza. Nell'Europa cristiana la cosa penetrò tra mite l'invasione musulmana della Spagna. E ancora verso la fine del Settecento c'erano nobi-luomini seguaci dei Lumi che pagavano fior di chirurghi perché rifornissero le loro cappelle musicali di piccoli castrati. Sì, è vero che Sisto V nel 1589 autorizzò la presenza di eunuchi nei cori, ma era lo stesso papa che aveva reiterato pene severe per chi ne fabbricasse. Il fatto è che ormai la loro presenza era dilagante. Il successore di Sisto V, Gregorio XIV, tentò di arginare questa maledetta pratica con una serie di decreti, ma dovette anche lui arrendersi ai fatti compiuti: il castrato non era colpevole e, vietandogli di cantare in luoghi prestigiosi come quelli pontifici, si sarebbe ingiustamente colpito solo lui. Un successivo papa, Benedetto XIV, si scagliò contro l'abominevole moda in un'enciclica del 1749. Che ebbe la stessa efficacia (zero) dei richiami dell'attuale pontefice contro l'aborto. Dopo di lui. Clemente XIV provò a cambiare sistema, vietando l'uso di castrati per i ruoli femminili nelle opere. Niente, sì dovette attendere che tale ignobile usanza cadesse da sé, cosa che accadde quando la concorrenza delle donne-soprano divenne insostenibile. Proprio l'anno scorso è uscito un libro di V. De Angelis, Eunuchi (Piemme), che sarebbe interessante leggere per conoscere l'ampiezza, storica e geografica, del fenomeno. Si comprenderebbe meglio quanto sia difficile “arginare il mare con uno scoglio”, come (per restare nel campo musicale) recita una suggestiva canzone di Mogol-Battisti. Insomma, è sempre così: immergendosi nella storia, si scopre che, in quelle circostanze (come in tutte le altre), la cercò di barcamenarsi, tenendo però continuamente presente l'antico adagio cristiano secondo il quale non di rado il bene è nemico del meglio.

IL TIMONE  N. 17 - ANNO IV - Gennaio/Febbraio 2002 - pag. 52 - 53

lunedì 7 marzo 2011

Catechesi Eucaristia

Certo se nell’ultima Cena avrebbero visto materializzarsi il corpo e il sangue di Gesù nel pane e nel vino, avrebbero creduto senza difficoltà, ma la fiducia nel loro maestro sarebbe scomparsa.

Gli apostoli credettero per fiducia, e ancora oggi la crede che ogni volta che si celebra la si rinnova il nuovo patto tra Cristo è l’umanità credente.

Del resto il profeta Malachia già lo aveva detto secoli prima “Poiché dall’oriente all’occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura…”(Ml 1,11)

Certamente l’oblazione pura non è il nostro sacrificio quotidiano, la nostra croce, che offriamo a Dio. I nostri sacrifici in nome della fede, pur essendo bene accetti da Dio, sicuramente non si possono definire puri. è una sola, perché solo Gesù fece il sacrificio perfetto, in quanto lui stesso era perfetto agli occhi di Dio, e questo sacrificio puro, perfetto, lo ripete ogni volta che si celebra il suo memoriale. Gli ebrei non offrivano in ogni luogo, ma solo nel Tempio, e soprattutto non si poteva parlare di oriente e occidente (cioè tutta la terra) ma solo di Gerusalemme. L’offerta pura è solo , non esistono altre oblazioni pure e, nelle offerte fatte a Dio era sempre realmente presente il sangue. Molti miscredenti vorrebbero vedere fisicamente il sangue nel calice, e Gesù materializzarsi nel pane, ma in questo modo la fede che fine farebbe?

Dio ha scelto di dare abbastanza luce a chi vuole credere e abbastanza ombra a chi non vuole credere. Quel Dio che sembra giocare a rimpiattino con gli uomini: se si scoprisse interamente, non vi sarebbe alcun merito nel credere in Lui; se si scoprisse del tutto, non vi sarebbe la fede” Così diceva Blaise Pascal. Dunque, gli increduli che pretenderebbero dalla Messa la materializzazione di Cristo, neppure sospettano che se ciò non avviene in modo così spettacolare, come un numero da prestigiatore, è per misericordia. Come se Dio, in qualche modo, limitasse la sua potenza per limitare così anche la responsabilità di chi lo nega. Sì, responsabilità. Perché è fondato il sospetto che qualcuno troverebbe sempre qualche pretesto. Direbbero: è verosimile che, in certe condizioni ancora indefinite la natura (cfr di V. Messori, Ipotesi su Maria) o la cosiddetta parapsicologia, possa far materializzare un corpo o l’apparenza di esso, e dare l’illusione che nel calice dopo la consacrazione ci sia reale sangue umano” (ndr), si comincerebbero a fare ipotesi di allucinazioni collettive, che la scienza ancora non è in grado di spiegare, insomma ci sarebbe sempre qualcuno lì pronto ad abbozzare pseudospiegazioni scientifiche. Direbbero: la scienza spiegherà anche questo un giorno, scuoterebbero il capo e chiederebbero qualche altra performance e così all’infinito.

In questo modo però aumenterebbe la loro “colpa”, sarebbero davvero “rei” secondo la parola di Paolo: “Essi sono dunque inescusabili perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria, né gli hanno reso grazie come Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti” (Rm 1,21).

Ma l’Eucaristia non è spettacolo, non è illusionismo, è il Sacrificio di Gesù Cristo che si rinnova in modo misterioso, e chi vuole lo crede per fede.

Qui di seguito approfondiremo l’argomento citando il parere di autorevoli padri e dottori della Chiesa, oltre ad analizzare dettagliatamente i passi biblici che parlano dell’.

domenica 6 marzo 2011

La Salvezza Cristiana

Un’ulteriore conferma la troviamo in Mt 7,21

Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.

Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande».”

Qualcuno potrebbe obiettare:

Se stamane io so di non aver rinnegato il Signore, ma so che il Signore è ancora in me, per quale motivo dovrei dubitare della , oggi?

Ecco, chi fa queste affermazioni si mette esattamente nella posizione di coloro che dicevano continuamente “Signore, Signore…” ma consideravano inutile dare da mangiare a chi aveva fame o dare da bere a chi aveva sete. E quindi… non lo facevano. Costoro erano davvero convinti di non aver rinnegato il Signore ma il loro comportamento testimoniava contro di loro. Se oggi parli male di un tuo conoscente, sei sicuro di avere la salvezza per la tua sola fede?

Attenzione a leggere e meditare bene le parole di Gesù, in questi versetti appena sopra. si rivolge e rimprovera chi ha profetato, cacciato demoni e compiuto molti miracoli, oggi chi ha questi doni si sente un perfetto cristiano, anche avendo uno solo di questi doni, spesso ci si sente buoni cristiani. Chi oggi ha il dono di compiere miracoli? Qualcuno, solo in pochi possiedono questo magnifico dono di Dio, eppure Gesù dice che nonostate questo tipo di dono, si può perdere la salvezza, se non si mette in pratica la Parola di Dio nella vita di ogni giorno.

I protestanti sono invece convinti che difficilmente loro possono perdere la salvezza, perché basta la sola fede, dalla quale scaturirebbero automaticamente le buone opere. Se funzionasse davvero così, Gesù rimproverò inutilmente i suoi discepoli, ma la verità è che occorre impegno e aver assimilato veramente la Parola di Dio, per metterla in pratica, non basta dire Signore Signore, noi abbiamo profetato e guarito nel Tuo nome. Oggi moltissimi protestanti si sentono salvati, e ci commiserano come perduti (noi miseri cattolici, ciechi) solo perché si auto convincono di capire bene la Parola di Dio, figuriamoci se dovessimo parlare con un protestante che abbia il dono di guarigione….

Ci vorrebbe una sorta di tappeto rosso, per accoglierlo, e dovremmo supinamente annuire, ad ogni suo insegnamento.
Cosa vuol dirci Gesù in Matteo 7,21?
Che non è automatica la salvezza per chi possiede doni di Dio, ne consegue che c’è la ben forte possibilità che costoro pur disponendo di doni dello Spirito Santo, possano finire all’Inferno, perché insegnano e fanno cose sbagliate, alla luce della Verità.

Pertanto consiglio ai tanti fratelli protestanti di buttare via il piedistallo che si portano sempre dietro, per salirvici ogni volta che incontrano un cattolico, e imparare veramente gli insegnamenti di , perché proprio i protestanti pur credendo alcune parti di Verità, hanno delle grosse lacune nelle loro dottrine, e troppa presunzione mista a spavalderia e arroganza nei confronti dei cattolici.

giovedì 3 marzo 2011

La Cresima–Confermazione

4. È IL SACRAMENTO DELLA TESTIMONIANZA.

, prima di salire al Cielo, dice: "Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore, lo Spirito di verità; egli mi renderà testimonianza e anche voi mi renderete testimonianza" .
"Mi sarete testimoni a Gerusalemme e fino agli estremi confini della terra" . Oggi questa testimonianza a Cristo Dio è di estrema necessità e urgenza; lo Spirito per mezzo di S. Paolo ci grida: "Siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo tenendo alta la parola di vita".
Gli uomini non vedono , ma te; non odono la sua voce, ma le tue parole; perciò nel tuo modo di parlare e di vivere tu devi ovunque manifestare Gesù: il Vangelo che il mondo ancora prende sul serio è quello che portiamo scritto nelle nostre opere. La gente segue più i santi che i maestri.

5. È IL SACRAMENTO DELL’APOSTOLATO DEI LAICI.

Il Vaticano II afferma: "Con il i fedeli, arricchiti di una speciale forza dello Spirito Santo, sono più strettamente obbligati a diffondere e a difendere con la parola e con l’opera la fede come veri testimoni di Cristo" .

Gesù (dice il Vangelo) non ha inviato soltanto gli Apostoli, i Sacerdoti a evangelizzare il mondo, ma ha inviato pure i laici rappresentati nei 72 discepoli: "Il Signore designò altri 72 discepoli e li mandò a due a due dinanzi a sé in ogni città e luogo". Gli ebrei di quell’epoca credevano infatti che le popolazioni del mondo erano 72, quel numero dunque non era casuale. Perciò, soprattutto "oggi – come ripeteva il B. Orione – chi non è apostolo di Gesù Cristo e della sua Chiesa, è apostata".

Oggi lo Spirito Santo ripete a ogni battezzato e cresimato le terribili parole del profeta Ezechiele: "Se tu non parli per distogliere l’empio dalla sua condotta, egli, l’empio, morirà (ossia andrà dannato) per la sua iniquità, ma della sua morte chiederò conto a te".

Lo Spirito ripete pure le consolanti parole di S. Giacomo: "Se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore, salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati".

Lo Spirito della nostra è il Sole dell’anima che vuol portarci luce di fede, calore di amore, energia per la santificazione e per l’apostolato. Se al sole si chiudono le finestre, si rimane nel buio e nel freddo. Apriamo allo Spirito le finestre della mente e del cuore. Trionferà in noi come ha trionfato in schiere di vergini, in folle di martiri, in milioni di Santi.

Significato Quaresima

 

1. La Samaritana

        Nostro Signore venne alla fontana come un cacciatore, chiese l’acqua per poterne dare; chiese da bere come uno che ha sete, per avere l’occasione di estinguere la sete. Fece una domanda alla Samaritana per poterle insegnare e, a sua volta, essa gli pose una domanda. Benché ricco, Nostro Signore non ebbe vergogna di mendicare come un indigente, per insegnare all’indigente a chiedere. E dominando il pudore, non temeva di parlare ad una donna sola, per insegnarmi che colui che si tiene nella verità non può essere turbato. "Essi si meravigliarono che si intrattenesse con una donna e le parlasse" (Gv 4,27). Egli aveva allontanato i discepoli (cf. Gv 4,8), perché non gli scacciassero la preda; egli gettò un’esca alla colomba, sperando così di prendere tutto uno stormo. Aprì la conversazione con una domanda, con lo scopo di provocare confessioni sincere: "Dammi dell’acqua, perché io beva" (Gv 4,7). Chiese dell’acqua, poi promise l’acqua della vita; chiese, poi smise di chiedere, al pari della donna che abbandonò la sua brocca. I pretesti erano finiti, perché la verità che essi dovevano preparare, era ora presente.

        "Dammi dell’acqua, perché io beva. Essa gli disse: Ma tu sei Giudeo. Egli le disse: Se tu sapessi" (Gv 4,7.9-10); con queste parole, egli le dimostrò che essa non sapeva e che la sua ignoranza spiegava il suo errore; la istruì sulla verità; voleva rimuovere a poco a poco il velo che era sul suo cuore. Se le avesse rivelato fin dall’inizio: Io sono il Cristo, essa avrebbe avuto orrore di lui e non si sarebbe messa alla sua scuola: "Se tu sapessi chi è colui che ti ha detto: Dammi dell’acqua perché io beva, tu gli avresti chiesto... La donna gli disse: Tu non hai un secchio per attingere e il pozzo è profondo. Egli le rispose" (Gv 4,10-11; 4,13): Le mie acque discendono dal cielo. Questa viene dall’alto e la mia bevanda è celeste; coloro che ne bevono non hanno più sete, poiché non vi è che un per i credenti: "Chiunque beve dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete. Essa gli disse: Dammi di quest’acqua perché io non abbia più sete e non debba venir più qui ad attingerne" (Gv 4,14-15).

        "Egli le disse: Va’ a chiamare tuo marito" (Gv 4,16). Come un profeta, egli le apre una porta per rivelarle cose nascoste. Ma essa gli rispose: "Io non ho marito" (Gv 4,17), per provare se egli conosceva le cose nascoste. Egli le dimostrò allora due cose; ciò che essa era e ciò che essa non era, ciò che era di nome, ma non era in verità: "Tu ne hai avuti cinque, e quello attuale non è tuo marito. Essa gli disse: Mio Signore, vedo che sei un profeta" (Gv 4,18-19). Qui, egli la portò ad un gradino superiore: "I nostri padri hanno adorato su questo monte. Egli le rispose: Non sarà più così, né su questo monte, né a Gerusalemme; ma i veri adoratori adoreranno in spirito e verità" (Gv 4,20-21.23). La esercitava perciò nella perfezione, e la istruì nella vocazione dei gentili. E per manifestare che non era una terra sterile, essa testimoniò, tramite il covone che gli offrì, che il suo seme aveva fruttificato al centuplo: "Ecco, quando verrà il Messia, ci annunzierà ogni cosa. Egli le rispose: Sono io che ti parlo" (Gv 4,25-26). Ma se tu sei re, perché mi chiedi dell ‘acqua ? È progressivamente che si rivelò a lei, prima come Giudeo, poi come profeta, quindi come il Cristo. La condusse di gradino in gradino fino al livello più alto. Essa vide in lui dapprima qualcuno che aveva sete, poi un Giudeo, quindi un profeta, e infine Dio. Essa persuase colui che aveva sete, ebbe il Giudeo in avversione, interrogò il saggio, fu corretta dal profeta e adorò il .

mercoledì 2 marzo 2011

La Libera Interpretazione biblica

 

Il principio della libera interpretazione che sta alla base del protestantesimo, ha prodotto gravi danni. “Inutilmente le vittime anabattiste di Zwingli gli gridavano, negli spasimi dell’agonia, che non avevano fatto altro che trarre tutte le conseguenze logiche dai principi che egli stesso aveva affermato contro il cattolicesimo. Anabattisti cioè , che non praticavano il battesimo dei bambini, a differenza dei luterani, ne furono uccisi a migliaia da Zwingli. E’ la contraddizione radicale e insanabile del protestantesimo (anche se oggi pare non sia educato il ricordarlo): da una parte la predicazione del <<libero esame della Scrittura>>; dall’altra, davanti alle inevitabili conseguenze di anarchia, il riconsegnare la , perché ne faccia una nuova dogmatica, a una severamente organizzata e spalleggiata dal potere laico, che le funge da braccio secolare e imprigiona, squarta, brucia sul rogo. Prima, la rivolta contro <<l’oppressione romana>> e, poi, l’oppressione contro ogni altro modo di intendere .

Così, la ragione non riesce a capire con quale diritto Lutero tuonasse dalla sua Germania contro ciò che, sulla spinta da lui stesso data, avveniva in Svizzera. <<Lutero vedeva la sua dottrina minacciata dalle peggiori deviazioni. Molte frasi sfuggite dalla sua penna e dalle sue labbra ci dicono ciò che ne provava: un misto di disperazione e di furore. “E’ meglio annunciare la dannazione che la salvezza secondo Zwingli ed Ecolampadio”. Gli altri riformatori gli sembravano dei pazzi, degli arrabbiati, degli schiavi di Satana, più nemici del Cristo che lo stesso papa. Quando apprese la fine di Zwingli sul campo di battaglia disse, a mò di orazione funebre: “Ha avuto la morte di un assassino”. E quando Ecolampadio (il teologo e il predicatore che affiancava Zwingli) ebbe seguito nella tomba il riformatore di Zurigo, il monaco di Wittenberg ne concluse: “Sono i colpi del diavolo che lo hanno ucciso…”. E Calvino più sottile politico, scriverà: “E’ molto importante che non trapeli ai secoli futuri alcun sospetto delle divisioni che sono tra noi. E’ infatti sommamente ridicolo che, dopo aver rotto con tutti, noi andiamo così poco d’accordo tra noi fin dall’inizio della nostra riforma” (Henri Daniel Rops).

domenica 27 febbraio 2011

Ancora sul termine Adelphos

Compagno di fede:

In quel tempo diedi quest ordine ai vostri giudici: Ascoltate le cause dei vostri fratelli e giudicate

con giustizia le questioni che uno può avere con il fratello o con lo straniero che sta presso di lui

(Dt 1, 16).

In tutti questi casi, la traduzione in greco detta dei Settanta , realizzata tra il III ed il I sec. a.C., comprendente il testo masoretico ed altri scritti, chiamati deuterocanonici, adopera il termine

adelphos.

Anche gli scritti del Nuovo Testamento furono redatti in un greco ellenistico ricco di semitismi e in essi la parola adelphos è caratterizzata dalla stessa ampiezza di significati che caratterizza il termine ebraico/aramaico che sta per fratello nel testo masoretico.

Vediamo alcuni esempi della polisemia della parola adelphos nel Nuovo Testamento:

Fratello in senso stretto (figlio degli stessi genitori):

Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedeo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò (Mt 4, 20)

Tra costoro Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo (Mt 27, 56)

(Giacomo maggiore e Giovanni, apostoli, erano figli di Zebedeo e di Salome).

Fratellastro (un solo genitore in comune):

Nell anno decimoquinto dell impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea e Filippo, suo fratello, tetrarca dell Itumea e della traconitide ( ) (Lc 3, 1)

Erode Antipa e Filippo erano entrambi figli di Erode il Grande, ma avevano madri diverse: Maltace e Cleopatra di Gerusalemme.

Parente o cugino:

Il caso specifico si riferisce proprio ai presunti fratelli di Gesù, come verrà dimostrato in seguito.

Per ora soprassediamo.

Discepolo di Gesù:

Ma voi non fatevi chiamare rabbì , perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli (Mt23, 8)

Compagno di fede, credente:

La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen. (Gal 6, 18)

Se ne può concludere che l uso della parola adelphos nei Vangeli, nonostante il significato etimologico del termine, non indichi necessariamente il fratello carnale, figlio degli stessi genitori, ma venga utilizzato in accezione più ampia, fino a definire vari gradi di parentela o di comunanza spirituale.

Il termine anepsiòs, che nel greco classico significa effettivamente cugino, nei testi ellenistici di origine semitica viene utilizzato per indicare una parentela piuttosto remota, di grado non ben definibile, comportante spesso anche una distanza geografica:

Partirono insieme di buon mattino per andare alle nozze. Giunti da Raguele, trovarono Tobia adagiato a tavola. Egli saltò in piedi a salutarlo e Gabael pianse e lo benedisse: Figlio ottimo di un uomom ottimo, giusto e largo di elemosine, conceda il Signore la benedizione del cielo a te, a tua moglie, al padre e alla madre di tua moglie. Benedetto Dio, poiché ho visto mio cugino Tobi, vedendo te che tanto gli somigli! (Tb 9, 6)

Gabael e Tobi erano parenti alla lontana ed abitavano molto distanti: il primo a Ninive (Mesopotamia), il secondo a Ecbatana (Media). Il grado di parentela non è chiaro, poiché, in Tb 7,

2, Gabael chiama Tobi mio fratello .

Nel Nuovo Testamento, il termine è utilizzato solo in Col 4, 10 per indicare la lontana parentela tra Marco e Barnaba. Essi sono distanti anche geograficamente, dato che il primo abita a Gerusalemme ed il secondo è originario di Cipro.

Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Barnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni se verrà da voi, fategli buona accoglienza e Gesù, chiamato Giusto.

(Col 4, 10)

Nel caso dei fratelli di Gesù , essi vivevano in stretto contatto con lui ed erano parenti assai prossimi: se fossero stati cugini di primo grado, il greco ellenistico dei Vangeli non avrebbe adoperato il termine anepsioi.

Infatti, nell unico caso in cui la parentela è chiara ed indica un legame di cuginanza di primo grado, il greco usa proprio il termine adelphos:

Figli di Macli: Eleazaro e Kis. Eleazaro morì senza figli, avendo soltanto figlie; le sposarono i figli di Kis, loro fratelli. (1Cr 23, 21-22)

Esaminiamo il punto successivo.

Il testo che viene citato dagli storico-critici contro la verginità di Maria è il seguente: Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; ma non si accostò a lei, fino alla nascita del figlio; e gli pose nome Gesù. (Mt 1, 24-25)

(Testo tratto dalla Nuovissima versione della Bibbia, 1991)

Qualche manoscritto della versione siriaca aggiunge (o sostituisce) a non si accostò a lei la frasee visse santamente con lei .

Significato di Adelphos

I fratelli di Gesù chiamati “Adelphos” erano suoi fratelli carnali?

Nei testi di ambiente greco classico, la parola adelphos indica effettivamente il fratello carnale,

figlio degli stessi genitori. Il concetto di fratello couterino insito nell etimologia del termine viene

tuttavia ampliato ed esteso ai figli di uno stesso genitore, compreso il padre. Adelphos può quindi

indicare il fratello in senso stretto, oppure il fratellastro.

Non mancano delle eccezioni a questa regola.

L’imperatore Marco Antonino, per esempio, chiama adelphos il padre di suo genero, Severo.

Esiste poi un iscrizione greca risalente al III secolo a.C. in cui una donna, maritata a suo cugino,

viene chiamata sua sorella e moglie .

A volte, poi, il termine adelphos viene utilizzato con intento elogiativo, indipendentemente dai

rapporti di parentela: per es. Caligola chiama Tiberio, figlio di Druso e di sua zia Livilla, per

discendenza cugino, per affetto fratello .

Nei testi ellenistici di provenienza orientale il termine adelphos assume una gamma di significati

ancora più ampia: secondo l esperta papirologia Orsolina Montevecchi (1957), nei papiri esso può

significare fratello (o sorella) in senso stretto, ma anche cugino, cognato, parente, marito (o moglie).

Tale ampiezza di significati è ben documentata nei testi greci provenienti da ambienti semitici.

Nelle lingue ebraica ed aramaica, che sono lessicamente molto più povere del greco, manca un

termine specifico per esprimere il concetto di cugino o cugina, per cui molto spesso si ricorre alla

parola fratello (in ebraico ah; in aramaico aha ) o sorella (in ebraico hôt; in aramaico ahot ).

Solo per i parenti del fratello del padre l ebraico dispone di termini più brevi. Il fratello del padre

viene indicato con la parola dôd. Suo figlio, ovvero il nipote per parte di padre, può essere chiamato

ben-dôd e sua figlia bat-dôd.

Per indicare il figlio o la figlia della sorella del padre bisogna ricorrere a complicate

circonlocuzioni, che diventano ancora più complesse dovendo parlare dei parenti del fratello o della

sorella della madre, mancando termini adeguati per esprimere questo rapporto di parentela.

Per evitare lunghi giri di parole, nel testo masoretico, ovvero nell Antico Testamento ebraico, è

attestato un uso molto ampio della parola fratello/sorella.

I termini ah ed aha (fratello), ovvero hôt e ahot (sorella), vengono adoperati per indicare i

rapporti di parentela più vari:

Fratello, ovvero figlio degli stessi genitori (es. Caino e Abele):

Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: Ho acquistato un uomo

dal Signore . Poi partorì ancora suo fratello Abele. (Gen 4, 1-2)

Fratellastro, ovvero figlio dello stesso padre ma di madre diversa (es. i figli di Giacobbe,

avuti da quattro mogli diverse):

Giuseppe all età di diciassette anni pascolava il gregge con i fratelli. Egli era giovane e stava con i

figli di Bila e i figli di Zilpa, mogli di suo padre. (Gen 37, 2)

Si noti che Giuseppe, essendo figlio di Rachele, aveva come fratello effettivo solo Beniamino.

Fratelli di Gesù

Parente, cugino, o comunque membro del clan familiare:

Abram disse a Lot: Non vi sia discordia tra me e te, tra i miei mandriani e i tuoi, perché noi siamo fratelli (… ). (Gen 13, 8)

(Abramo chiama fratello il nipote Lot, figlio di suo fratello).

Figli di Macli: Eleazaro e Kis. Eleazaro morì senza figli, avendo soltanto figlie; le sposarono i figli di Kis, loro fratelli. (1Cr 23, 21-22)

(i figli di Kis, fratello di Eleazaro, sono i cugini in primo grado delle figlie di Eleazaro)

Membri della stessa tribù del popolo di Israele:

Il Signore parlò a Mosé: Questo riguarda i leviti: da venticinque anni in su il levita entrerà a formare la squadra per il servizio nella tenda del convegno. Dall età di cinquant anni si ritirerà dalla squadra del servizio e non servirà più. Aiuterà i suoi fratelli nella tenda del convegno sorvegliando ciò che è affidato alla loro custodia; ma non farà più servizio. Così farai per i leviti, per quel che riguarda i loro uffici. (Nm 8, 23-26)

Amico o alleato:

Perché son caduti gli eroi in mezzo alla battaglia? Gionata, per la tua morte sento dolore,l angoscia mi stringe per te, fratello mio Gionata! (2Sam 1, 25-26)

(Davide si rivolge qui a Gionata, figlio di Saul, con il quale non ha legami di parentela). Collega, ovvero persona che svolge un medesimo incarico o è investito di una medesima

autorità:

Si legarono sacchi ai fianchi e corde sulla testa, quindi si presentarono al re d Israele e dissero: Il tuo servo Ben-Hadad dice: Su, lasciami in vita! . Quegli domandò: E ancora vivo? Egli è mio fratello! . (1Re 20, 32)

(Acab, re d Israele, parla di Ben-Hadad, re di Aram)

Prossimo, ovvero persona verso la quale si hanno degli obblighi morali:

Ognuno si guardi dal suo amico,non fidatevi neppure del fratello, poiché ogni fratello inganna il fratello,e ogni amico va sprgendo calunnie (Ger 9, 3).

I Fratelli di Gesù era solo suoi cugini.

Onesiforo

 

Quando definisco ignoranti i protestanti, ovviamente gli concedo il beneficio del dubbio, cioè credo nella loro buona fede, altrimenti li bollerei eretici in malafede.

In quella comunità sentivo ripetere alcune frasi riprese malamente dalla Bibbia tipo: “Nessuno sulla terra è buono”, “Non chiamate nessuno maestro”, “Non chiamate nessuno padre”, “I Libri deuterocanonici nelle Bibbie cattoliche sono apocrifi”, perché non vengono citati dal Nuovo Testamento, “La Chiesa cattolica insegna ad adorare la Madonna e i santi”, “Per la Chiesa cattolica il papa è il successore di Cristo” ecc..

Studiando bene la Bibbia mi accorgevo che in tanti altri versetti biblici esistevano i buoni o giusti, i maestri, i padri spirituali, era evidente che serviva una corretta interpretazione. Se gli facevo notare questi loro errori, per non ammettere la realtà, era come se sentissero i soliti rumori, non le mie parole, e se insistevo…volevo fare polemica.

Non potevano negare l’evidenza, non sapevano farlo, eppure se ne riparlavamo dopo un mese, continuavano a ripetermi le stesse frasi, gli stessi versetti, come se la conversazione di prima non fosse mai avvenuta, come se avessero dimenticato che prima non avevano saputo rispondermi.

Forse in cuor loro sentivano di avermi risposto, balbettando qualche frase inappropriata e soprattutto saltando da un argomento all’altro, per sfuggire alla pressione della verità, e finendo

-come da loro abitudine- per difendersi accusando la Chiesa cattolica dei numerosi errori umani commessi lungo i secoli. Infatti, se si trovano in difficoltà cambiano campo, lasciano quello biblico e toccano quello storico, che nemmeno conoscono bene, ma spesso solo per sentito dire. Infatti ignorano completamente che anche alcuni protestanti parteciparono a qualche crociata in Austria, per difendere l’Europa dall’avanzata islamica; ignorano pure le inquisizioni organizzate da Calvino in Svizzera, e quelle inglesi ad opera degli anglicani, ignorano i misfatti dei luterani in Germania, ignorano l’olocausto degli indiani d’America massacrati e spodestati delle loro terre dai protestanti inglesi, ecc., ma stranamente non ignorano tutti gli errori umani commessi dalla Chiesa di Roma lungo la storia.

Non si prega per i morti, e non si chiede ai santi morti nella carne di pregare per noi, è peccato, ripetono continuamente.

Leggendo bene la seconda lettera a Timoteo però ci si accorge che anche Paolo rivolge a Dio una supplica per un santo morto nella carne:

Paolo in 2 Tm 1,18 parlando del defunto Onesiforo, prega il Signore “perché doni la grazia di

trovare misericordia presso Dio in quel giorno

2 Tm 4,6 “Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno” qui vediamo che con l’espressione “in quel giorno” Paolo si riferisce al giudizio finale, quando verrà aperto il libro della vita, e ognuno raccoglierà quello che in passato ha seminato.

E ancora in 2 Tm 4,19 troviamo dei saluti per la famiglia di Onesiforo.

Prego i fratelli non cattolici di verificare cosa dicono in merito alcuni esegeti protestanti come Knabenbauer, Spicq, Plummer, ecc., si accorgeranno che in realtà anche questi teologi protestanti ammettono che Paolo prega per Onesìforo morto nella carne, e questo si nota anche dal fatto che Paolo rivolge i suoi saluti alla famiglia di Onesiforo, quando sarebbe stato più logico e corretto rivolgere i saluti prima ad Onesiforo e poi alla sua famiglia, se, Onesiforo fosse stato ancora in vita. Tutte queste, e tante altre, inesattezze, mi hanno aperto gli occhi.

Lacune dei Pentecostali

 

Ci vuole il terreno adatto affinché certe verità attecchiscano bene, ma spesso assieme alle verità di fede, attecchiscono anche mezze verità e alcune falsità. E’ un po’ come la zizzania che attecchisce in mezzo al buon frumento, e diventa difficile da estirpare.

Molti fratelli pentecostali non sono realmente interessati alla verità tutta, perché presuntuosamente credono di conoscerla, pendono dalla labbra del loro pastore, se glielo faccio notare si offendono, ma è così, solo al loro pastore prestano vero ascolto. Noi cattolici romani siamo più propensi all’ascolto del nostro interlocutore protestante, che vuole parlarci di Dio e di argomenti importanti come quelli della salvezza e della resurrezione cristiana. Il protestante o pentecostale è troppo supponente verso un cattolico che vuole spiegargli la Bibbia, spesso lo ascolta solo come gesto di cortesia, ma è come se stesse sentendo dei suoni, dei rumori, non delle parole che significano qualcosa; o il cattolico annuisce ad ogni loro osservazione, oppure gli viene detto che vuole fare polemica. Diventano praticamente impermeabili verso qualsiasi insegnamento che non provenga dal loro pastore. Insomma, amano insegnare ad altri, loro invece accettano insegnamenti solo dal rispettivo pastore, guai a elencargli i punti dove sbagliano, a partire dai 7 libri deuterocanonici, che non hanno nella loro Bibbia, e nemmeno ne conoscono il motivo. O meglio, a parole dicono di conoscere i motivi per cui la loro Bibbia non contiene i 7 libri, che chiamano apocrifi, ma spesso lo ripetono per sentito dire, non conoscendo nel merito le vicende che hanno portato al canone biblico, e le motivazioni degli ebrei che hanno dichiarato eretici i 7 libri in questione del Vecchio Testamento e, tutto il Nuovo Testamento, eppure osano disinvoltamente puntare il dito contro la Bibbia cattolica. E’ bene ricordare loro che dicono di accettare il canone ebreo, che gli ebrei hanno dichiarato eretico tutto il Nuovo Testamento, quindi per coerenza con quello che vanno dicendo in giro, dovrebbero togliere dalle loro Bibbie anche il Nuovo Testamento.

Alla domanda secca “Perché non avete i 7 libri deuterocanonici nella vostra Bibbia?” Rispondono, “Siete voi cattolici che li avete aggiunti, noi rispettiamo il canone stabilito dagli ebrei, ai quali è stata affidata la Parola di Dio”

Gli sfugge che fidandosi degli ebrei, dovrebbero escludere pure tutto il Nuovo Testamento, visto che l’anno dichiarato eretico, nel loro concilio di Jamnia svoltosi intorno al 90 d.C..

Questo atteggiamento dei fratelli pentecostali mi lasciava perplesso, anche alla luce delle tante diversità dottrinali che esistono tra le stesse comunità protestanti. Mi chiedevo, il pastore di questa comunità pentecostale è sicurissimo di ciò che insegna e, ad esempio, crede nella SS. Trinità, guardandolo e ascoltando i suoi insegnamenti sembra davvero convinto di ciò che predica; il pastore dei pentecostali modalisti, cioè “I Gesù Solo”, parla in lingue, e garantisce di essere guidato da Dio nella sua evangelizzazione, eppure non crede nella Trinità; gli Avventisti del Settimo Giorno garantiscono pure con fermezza la loro guida divina, eppure non credono alla uguaglianza di Gesù con il Padre, per loro l’inferno non esiste, l’anima muore, ecc.; i testimoni di Geova, si vedono enormemente impegnati, e armati di buona volontà, girano instancabilmente bussando di porta in porta, nel tentativo di predicare la Parola di Dio, e a sentirli, anche loro si definiscono cristiani, solo che poi per loro Gesù non è Dio, non credono alla SS. Trinità, e a tante altre verità cristiane, ecc.; i Luterani credono nella perpetua verginità di Maria, battezzano i bambini, e parlano di consustanziazione dell’Eucaristia; e si potrebbe ancora continuare ad elencare differenze dottrinali pesanti, tra i vari gruppi protestanti. Se la verità è UNA sola, evidentemente qualcuno di loro si sbaglia!

Possibile che non si pongano questa semplice domanda?

sabato 19 febbraio 2011

I Fratelli di Gesù


Gli ebrei con la parola “ah” (=fratello) esprimevano la parentela in genere o addirittura semplicemente compaesano o compatriota; essi quando volevano indicare un fratello germano (=uterino, di sangue) ricorrevano ad espressioni più lunghe, come “figlio di suo fratello”, “figlio di sua madre” ecc.. Gesù è sempre indicato come figlio di Maria. GLI ALTRI MAI.
Le parole greche che significano “fratello e “sorella”, non sempre in senso stretto ed anche in senso traslato, traducono termini ebraico-aramaici che oltre a designare i figli di stessi genitori, designano anche parenti prossimi, specialmente per consanguineità, senza specificare il grado di parentela.
Per i vari gradi di parentela, poi, le due lingue non possiedono neppure tutti i vari termini che hanno le nostre lingue odierne.

Dimostreremo -come accennato in apertura-  che i fratelli di Gesù menzionati nella Bibbia in realtà sono suoi parenti.
Chi avrebbe il dovere di confrontare e verificare, per “mestiere” sono i teologi, ma “ciò che chiaramente determina l’atteggiamento degli studiosi protestanti (e di qualche cattolico deviato) è la convinzione che la tesi cattolica (“cugini” o, comunque , membri del clan familiare) non sia il frutto di una ricerca rigorosa sui documenti storici, bensì conseguenza obbligata della dottrina della perpetua verginità di Maria che ogni cattolico è tenuto a credere. Ha scritto il riformato razionalista Maurice Gougel: <<Non esiste un problema dei fratelli del Signore per la storia ma soltanto per la dogmatica cattolica>>. 

O il luterano Joseph Bornkamm: <<Soltanto convenienze dottrinali cattoliche (od ortodosse), non i documenti di cui disponiamo, hanno fatto di questi fratelli dei fratellastri o dei cugini, per difendere la perpetua verginità di Maria>>. Questa è pure la tesi di qualche teologo cattolico progressista. Il professor Joseph Blinzer grande esegeta tedesco ci dice che: <<Possiamo dimostrare che ci troviamo di fronte a un preconcetto e che l’interpretazione cattolica dell’espressione “fratelli del Signore” non è aprioristica, non è difesa astratta di un dogma, bensì prende seriamente in considerazione la testimonianza della storia, vale a dire del Nuovo Testamento e della Tradizione più antica>>.

Una sfida che, però è rimasta ancora una volta inascoltata: come notava, con amarezza, lo stesso Blinzer, <<se c’è una differenza nel modo con cui l’esegesi protestante e quella cattolica presentano le loro posizioni, essa consiste nel fatto che da parte cattolica si ha cura di tenere conto degli argomenti della controparte, per replicare; mentre gli autori protestanti di regola ritengono superfluo perdere ancora tempo e procedere al confronto>>.

Una sorta di complesso un po’ sprezzante di superiorità -complesso non limitato peraltro a questo tema- con cui specialisti che dicono di rifarsi alla Riforma (i cui fondatori, lo ripetiamo, in realtà danno loro torto: ma si ha cura di non farlo sapere) guardano a quegli attardati, miracolisti, magari superstiziosi cattolici, per i quali sarebbero importanti banali questioni trivialmente ginecologiche come la verginità perpetua della madre di Gesù.” (Cfr. V. Messori, Ipotesi su Maria.)
In effetti fino all’anno 380 non ci fu problema alcuno sull’interpretazione della parola “fratello” nel contesto biblico.

“L’equivoco fu volutamente provocato da Elvidio, un oscuro laico che si inseriva nel dibattito allora rovente sulla superiorità del celibato religioso rispetto al matrimonio. L’esplosione del fenomeno del monachesimo (quasi come un sostituto al martirio), dopo i provvedimenti liberali di Costantino, portava una tale sopravvalutazione della verginità e a una così forte diffidenza verso i rapporti coniugali da provocare una reazione vivace. Il pamphlet di Elvidio si inseriva in questa polemica ed era <<basato non sull’antica Tradizione ma su un’esegesi del Nuovo Testamento certamente errata, da dilettante>>. Così Blinzer. Ciò che l’oscuro polemista voleva era replicare ai fautori della superiorità del monachesimo, cercando di dimostrare che anche Giuseppe e Maria avevano fondato una famiglia che, oltre al Primogenito, aveva avuto molti altri figli. Partiva dunque non da un approfondimento dei testi della fede, bensì da una tesi prefissata per la quale trovare giustificazioni.
Il maggiore biblista del tempo era san Girolamo che, probabilmente non avrebbe replicato a un polemista così mediocre, rispetto a lui. Ma, sollecitato da persone autorevoli (era allora a Roma e non in Oriente dove, soprattutto il Palestina, visse a lungo), scrisse un trattato: De perpetua virginitate Mariae. Quell’incauto dilettante di Elvidio era fatto a pezzi dal focoso santo, che conosceva ogni riposta sfumatura della Scrittura e delle lingue, ebraico e greco, in cui è scritta, tanto da darci la traduzione in latino che è restata canonica. Per Girolamo, comunque, i “fratelli” e le “sorelle” di Gesù erano cugini e non figli di Giuseppe: e lo dimostrava con argomenti la cui sostanziale validità è riconosciuta anche oggi.
Tutti i grandi scrittori cristiani, sia allora che dopo, plaudirono all’opera, divenuta classica.
Da allora non ci furono praticamente altre discussioni su Gesù come unico figlio nato per opera dello Spirito Santo; come ricordavo, neppure da parte della Riforma. 

La tesi di Maria come madre di famiglia numerosa rinacque solo tra Sette e Ottocento, nell’ambito del protestantesimo liberale, dell’illuminismo, del razionalismo. Anche se da molto tempo è preponderante tra gli evangelici – e insidia ora i cattolici complessati-, non va dimenticato che, malgrado la sicurezza <<scientifica>> con cui è spacciata, è una teoria recente, limitata a dei professori e contrasta con la certezza di fede espressa unanimemente per tanti secoli. Ultimamente si è cominciato a fare i conti con il fatto che almeno tre dei Vangeli sarebbero la traduzione in greco di un testo aramaico; e che, dunque, dietro alle espressioni elleniche c’è un sostrato semita, non di rado tradotto in modo impreciso. Tra l’altro, queste indagini -che stanno dando risultati sorprendenti- contribuiscono a rendere sempre meno salda quella esegesi cosiddetta <<storico-critica>>.
All’orizzonte si affaccia quindi l’ipotesi, sempre più reale, che i Vangeli sono stati scritti prima dell’anno 70, in lingua aramaica.

Eucarestia Giornaliera


Qualcuno dirà che non si deve ricevere l'Eucarestia tutti i giorni. Se tu gli domandassi perché, ti potrebbe rispondere: "Perché si devono scegliere i giorni in cui si vive con maggior purezza e continenza per accostarsi degnamente a un sì augusto sacramento, poiché chi mangerà indegnamente, mangia e beve la propria condanna ". Un altro invece potrebbe dire: "Al contrario, se la piaga del peccato è così grave e tale la violenza del morbo spirituale, che si debbano differire siffatte medicine, uno dev'essere allontanato dall'altare per ordine del vescovo affinché faccia penitenza; solo in seguito dev'essere riconciliato con Dio con l'assoluzione impartita dalla medesima autorità: si riceverebbe infatti indegnamente il sacramento, se si ricevesse nel tempo in cui uno deve far penitenza; nessuno dovrebbe di proprio arbitrio astenersi dalla comunione o accostarsene quando gli aggrada. A ogni modo, se i peccati non son così gravi da meritare la scomunica, nessuno deve star lontano dalla medicina quotidiana del Corpo del Signore"

Fra i due forse risolve meglio la questione chi inculca di rimanere soprattutto nella pace di Cristo; ciascuno poi faccia quel che crede dover fare secondo la propria fede e il sentimento della sua pietà. Nessuno dei due oltraggia il corpo e il sangue del Signore; tutti e due al contrario fanno a gara per onorare il sacramento ch'è fonte della nostra salvezza

Nemmeno Zaccheo e il Centurione si trovarono in contrasto fra loro né alcuno di essi si ritenne superiore all'altro, anche se l'uno pieno di gioia accolse il Signore nella sua casa e l'altro disse: Non son degno che tu entri sotto il mio tetto: tutt'e due onorarono il Salvatore in maniera diversa e per così dire contraria: ambedue erano miserabili peccatori, ambedue ottennero misericordia. Come simbolo di ciò può servire quanto accadde all'antico popolo ebraico: come la manna aveva in bocca il sapore che ciascuno voleva, così pure nel cuore di ciascun cristiano ha diversi sapori il Sacramento con cui è stato vinto il mondo

Poiché l'uno, per onorarlo, non osa riceverlo quotidianamente, l'altro invece, per onorarlo, non osa tralasciarlo alcun giorno. Questo cibo esclude solo il disprezzo, come la manna la ripugnanza.
Ecco perché l'Apostolo dice che fu ricevuto indegnamente da coloro che non lo distinguevano dagli altri cibi con la particolare devozione dovutagli: poiché dopo aver detto: Mangia e beve la propria condanna, subito soggiunge dicendo: perché non fa distinzione di tal corpo  come appare chiaro da tutto quel passo della prima Lettera ai Corinti, se si considera attentamente.
E riporto ancora dallo stesso forum:
Sempre nella medesima Lettera 54 Agostino tenta di spiegare fin anche L'USO DEI RITI DEL GIOVEDI' SANTO....evidentemente qualcuno si preoccupava di come e quando dovesse essere il digiuno se PRIMA O DOPO L'EUCARESTIA..al chè Agostino dice:

dovremmo discutere non come si debba celebrare il rito, ma come penetrare il significato del rito medesimo....Lo stesso dicasi di riti e usanze osservate da tutta la Chiesa. Poiché mettere in dubbio se si debbano o non si debbano seguire, sarebbe segno d'insolentissimo insania.